Di voucher in bonus bebè. Siamo tra i Paesi in cui si lavora per più ore al giorno e dove gli straordinari sono una costante. Va da sé che le donne sono le più penalizzate, ma il problema non è solo femminile: avere dei padri assenti non è il massimo, e il fatto che ad oggi il congedo per i padri ammonta solo a due giorni è un palese segnale di uno squilibrio.

Se è vero che un incremento della partecipazione delle donne al mercato del lavoro porterebbe notevoli benefici in termini di PIL, allora sarebbe utile capirne a fondo tutti i vantaggi. Come in un circolo virtuoso, laddove le donne in età fertile lavorano, si ottiene maggior ricchezza/benessere/sicurezza, con una maggiore propensione a mettere al mondo più figli. Questo dovrebbe portare (in un Paese sano) a sviluppare la domanda di beni e servizi, con conseguente aumento di occupazione e di PIL.

Finora, si è scelto di delegare la conciliazione lavoro-vita privata al faidate: si organizzi chi può, come meglio crede. In pratica si è scelto un liberismo del welfare familiare, con servizi a macchia di leopardo e che nulla fanno per portare avanti un processo di condivisione dei compiti di cura.

Invece, occorrerebbe un intervento “diretto” dello stato: con incentivi alle aziende che investono in progetti ad hoc, con politiche fiscali (detrazioni realmente convenienti per figli a carico), con servizi di qualità per la prima infanzia e anche per le età successive, equamente distribuiti sul territorio, con sussidi per integrare attraverso il privato l'offerta pubblica (nidi, tate, baby sitter, Tagesmutter, centri ludico-educativi). Queste iniziative se prese singolarmente e sporadicamente non apportano grandi benefici: andrebbero realizzate sinergicamente e in un quadro progettuale ben studiato. Altrimenti, i risultati sono quelli dei voucher baby sitting – asili nido ideato dalla Fornero, alternativi al congedo parentale facoltativo. Di cosa stiamo parlando?

Sul sito dell'INPS  leggiamo:

L’articolo 4, della legge 28 giugno 2012, n.92, ha introdotto in via sperimentale, per il triennio 2013 – 2015, la possibilità per la madre lavoratrice di richiedere, al termine del congedo di maternità ed entro gli undici mesi successivi, in alternativa al congedo parentale, voucher per l’acquisto di servizi di baby sitting, ovvero un contributo per fare fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l'infanzia o dei servizi privati accreditati, per un massimo di sei mesi.

Tale beneficio è stato prorogato anche per l’anno 2016 dall’art.1, comma 282, della legge 28 dicembre 2015, n.208 (c.d. legge di stabilità).

Spetta alle lavoratrici dipendenti di amministrazioni pubbliche o di datori di lavoro privati e alle lavoratrici iscritte alla gestione separata, che si trovino al momento di presentazione della domanda ancora negli 11 mesi successivi alla conclusione del periodo di congedo obbligatorio di maternità, e non abbiano fruito ancora di tutto il periodo di congedo parentale.

Le lavoratrici madri possono accedere al beneficio anche per più figli, presentando una domanda per ogni figlio purché ricorrano per ciascun figlio i requisiti sopra richiamati.

L’importo del contributo è di 600,00 euro mensili (tre mesi per le lavoratrici iscritte alla gestione separata), divisibile solo per frazioni mensili intere.

Le lavoratrici part-time potranno fruire del contributo in misura riproporzionata in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa.

Da quest'anno cambiano le modalità di richiesta del voucher, che può essere richiesto solo online. È necessario autenticarsi sul sito INPS con la Carta Nazionale dei Servizi o il nuovo sistema SPID. Per chiedere l’assegnazione del bonus babysitter è necessario compilare la voce “Committente/datori di lavoro” sotto la funzione committente/persona fisica di Lavoro accessorio. Al momento della richiesta il sistema necessita dei dati relativi al codice fiscale della madre e del bambino, al numero di domanda e all’anno di riferimento. Da quando viene accolta la domanda si hanno a disposizione 120 giorni di tempo per richiedere il servizio corrispondente al bonus, in caso contrario si considera implicita la rinuncia.

Di voucher in bonus bebè.

Si tratta di una misura alternativa alla fruizione del congedo parentale, comporta la rinuncia dello stesso da parte della lavoratrice. A prima vista sembra una misura positiva, perché va a ridurre il tempo che la donna dovrebbe passare lontana dal posto di lavoro, sembra consentire un rientro in tempi brevi. Peccato che la realtà sia ben diversa. Sappiamo che trovare servizi per la primissima infanzia è una vera chimera, solitamente i nidi non coprono bimbi così piccoli e anche una tata specializzata che faccia un orario full time è molto onerosa.

Le politiche in materia a mio avviso dovrebbero riferirsi alla famiglia, non unicamente alla donna, perché si attui una vera rivoluzione dei carichi familiari. Conosciamo lo squilibrio uomo-donna per quanto riguarda i tempi dedicati alla cura della casa e dei figli. Le donne, che lavorano, diventano delle integratici di reddito familiare, con l’uomo che ne resta il principale produttore. Per le donne vengono cuciti dei contratti e dei lavori che gli consentano il lavoro di cura familiare. Ma se il lavoro è a singhiozzo e part-time, il rischio è diventare delle potenziali anziane povere. Purtroppo in mancanza di servizi e di sostegni è già un miracolo mantenere il lavoro.

Ci stiamo dimenticando la dimensione di famiglia: se ci limitiamo a considerare la questione solo come un problema di trovare il giusto parcheggio per i figli, oppure di creare delle modalità per la “staffetta” tra i due genitori nella cura dei figli, siamo sulla strada sbagliata. Dobbiamo riunire la coppia, far sì che il nucleo trovi i giusti spazi e la necessaria tranquillità per passare del tempo insieme. Altrimenti si corre il rischio di vivere come degli estranei sotto lo stesso tetto. La fretta non è mai un nido accogliente e piacevole nel quale far crescere i nostri figli. Magari per qualcuno va bene così, ma dev’esserci un’alternativa percorribile. Bisogna riformulare i tempi di vita e di lavoro, recuperando un equilibrio che non può passare in secondo piano.

Inoltre, personalmente, se differenti e innegabili sono i presupposti, gli strumenti, le risorse e gli obiettivi di ciascuna classe di donne, penso sia difficile definire delle soluzioni uniche e valevoli per tutte. Perché le misure che possono alleviare le fatiche di una donna precaria, con un salario basso non saranno adeguate o rispondenti agli obiettivi o alle istanze di una donna della classe media o capitalista. E viceversa. I pesi delle variabili in gioco sono innegabilmente diversi. Perciò se di misure correttive dobbiamo parlare, penso sia necessario lavorare innanzitutto sulla rimozione di quelle barriere di classe, che non hanno necessariamente caratteristiche e appartenenze di genere.

Poi possiamo anche mettere in piedi un mix di sistemi di welfare, che creino sinergie utili tra interventi aziendali e privati con forme pubbliche di sostegno alla conciliazione. Basta non smarrire per strada i compiti di riequilibrio e di sostegno universali che solo un intervento pubblico può e deve assicurare. Altrimenti continueremo ad avere garantiti vs non garantiti, in una lotta tra poveri inascoltati.

Interessante la proposta di legge di un paio d'anni fa, che proponeva di introdurre il voucher universale per i servizi alla persona e alla famiglia. http://www.ingenere.it/articoli/voucher-universali-la-cura-il-buono-della-proposta

Alla fine, dobbiamo registrare che le cose sono cambiate in meglio unicamente per le donne di alcuni ambienti, per lo più già abbastanza privilegiati. Da questi vantaggi e progressi la maggior parte delle donne è stata esclusa. Non è detto che avere un numero maggiore di donne ai vertici della politica o delle aziende possa contribuire a distribuire miglioramenti a tutte le altre. Se si è trattato ancora una volta di privilegi, forse le istanze di tutte, collettive, diffuse sono state annegate a vantaggio di una minima parte.

E non avremo fatto grandi passi in avanti, ma staremo sempre a osservare i tassi di occupazione femminile, le difficoltà di conciliazione, i tagli ai servizi di sostegno per le donne ecc.

Dal governo del nostro Paese ci aspettiamo risposte concrete e non operazioni di pinkwashing oppure strumenti che servono solo a sottrarci diritti sacrosanti, perché rinunciare al congedo facoltativo è come suggerire che in fondo ne possiamo anche fare a meno. Nel 2015 sono state assegnati 20 milioni di euro sul voucher baby sitting, con 7.800 richieste.

Perché non adoperare queste risorse per incrementare i servizi pubblici (nidi e non solo) e tornare a garantire sostegni omogenei sul territorio e paritari?
Invece continuiamo a scaricare sui singoli gli oneri di una ricerca di servizi e di un aiuto.
Infine, mi aspetto che si prevedano finalmente congedi retribuiti anche per i papà, in altri Paesi la condivisione è già realtà.
Tra voucher e bonus bebè siamo sempre allo stesso punto.

 

Articolo di Simona Sforza

 

 

Ritratto di Simona Sforza

Posted by Simona Sforza

Blogger, femminista e attivista politica. Pugliese trapiantata al nord. Felicemente mamma e moglie. Laureata in scienze politiche, con tesi in filosofia politica. La scrittura e le parole sono sempre state la sua passione: si occupa principalmente di questioni di genere, con particolare attenzione alle tematiche del lavoro, della salute e dei diritti.