Ragionando sull'ultima trovata per parlare del terribile dramma delle spose bambine, la simulazione di una cerimonia di nozze allestita da Amnesty International Italia, Giovanna Cosenza ha già colto un importante tratto di questa campagna: la strumentalizzazione di una bambina, che forse potevamo risparmiarci.

Certamente vanno bene tutte le occasioni per informare e sensibilizzare su questo fenomeno mondiale. Ma c'è sempre un come, un limite, un'ombra.
Ultimamente molte di queste campagne assomigliano più a spot pubblicitari, qualcosa creato per fare sensazione, creare curiosità, stupire, colpire, generare click... ma quanto lasciano il segno, quanto comunicano veramente lo strazio che c'è dietro?

Perché ormai le nostre lotte e battaglie sui diritti assomigliano più a questo, una pubblicità a un marchio, a una ONG, a una Onlus, approcci ai problemi che non dovrebbero a mio avviso essere mai accostati a qualcosa di simile a un prodotto. Invece anche i diritti sembrano prodotti in vendita, commerciabili, che fruttano, che portano introiti, che portano vantaggi. Siamo abituati a seguire anche le mode sui diritti, oggi è più quotato questo rispetto a un altro, che nel frattempo è sceso nella virtuale classifica dei diritti.

Siamo talmente imbevuti di questa mentalità che non ci rendiamo nemmeno conto che un tempo erano altri gli strumenti per accendere l'attenzione su un tema.
Una volta ne parlavamo, organizzavamo manifestazioni in cui ciascuno di noi potesse essere un tassello di opposizione e di contrasto a una sottrazione di diritto. Oggi ci basta una petizione online, uno spot, un cartellone, un messaggio via newsletter per farci sentire coinvolti.

Ma nella realtà non lo siamo, perché queste sono modalità passive, è come se ci avessero rieducati a un approccio passivo, senza troppo rumore, alla lesione dei diritti.
Un approccio patinato alle battaglie sui diritti, un volto di bambina, un'ostentazione di un ideale di bellezza (un'infanzia contaminata da concetti e modelli adulti), questa presentazione edulcorata del fenomeno oscura i flebili riferimenti agli aspetti di degrado economico-culturale, allo stato di bisogno e di estrema povertà delle famiglie che vendono le proprie figlie in spose (o che vanno a ingrossare il numero di minori in prostituzione), della condizione di discriminazione e di disparità a cui sono soggette le persone di genere femminile nel mondo (cosa significa nascere donna...), di un diritto all'istruzione negato, che ci sono dietro un fenomeno come quello delle spose bambine.

Ripeto, i deboli richiami alle situazioni reali, vengono annebbiati da questa rappresentazione patinata, annacquati in un minestrone da spot pubblicitario, in cui ancora una volta una bambina viene coivolta e resa strumento, mezzo di trasmissione, non si sa quanto consapevole. E così sembra tutto una mera operazione da campagna pubblicitaria rastrella fondi. E i diritti vengono così incastonati in una nebulosa operazione dai contorni non sempre chiari.

Così come non riusciamo a capire la compatibilità di questa difesa da parte di Amnesty delle spose bambine e la sua posizione in merito alla prostituzione (ne avevo parlato qui).
Perché la povertà, il bisogno, le disparità, le discriminazioni, le situazioni di disagio sono cause comuni ai due fenomeni, e come non c'è libera scelta nel matrimonio precoce, non c'è nemmeno nella prostituzione.

Ci hanno ridotto al politicamente corretto, somministrandoci la nostra dose di lavaggio di coscienza collettiva.
Giungere a simulare un matrimonio tra una bambina e un adulto è solo una delle mille pieghe di questa deriva.
Quel tanto che basta per poterci sentire tranquilli e riuscire a voltare pagina, pensando che altri se ne occuperanno al nostro posto.

Questo vale per tutti i problemi, le lesioni di diritti, la perdita di servizi.
La sottrazione di spazi pubblici di rivendicazione e di modalità spontanee di esposizione di istanze dal basso, questo è un aspetto del cattivo stato di salute dei nostri diritti. E noi dove siamo? Ci somministrano contenuti e strumenti, impacchettati e pronti per un uso-consumo immediato e che non sembra lasciar traccia. Forse dovremmo svegliarci e imparare a leggere oltre la superficie. Riportiamo in primo piano le cause che portano alla lesione dei diritti umani fondamentali, cerchiamo di non semplificare la realtà.

Torniamo a comunicare, a informare senza dover "spettacolarizzare" ogni cosa, senza aver bisogno di testimonial o sponsor che ci aiutino a richiamare l'attenzione e le persone.
Usciamo dalle nostre case e battiamoci in prima persona.



Articolo di Simona Sforza

 

 

Immagine di copertina tratta dal sito vita.it

Ritratto di Simona Sforza

Posted by Simona Sforza

Blogger, femminista e attivista politica. Pugliese trapiantata al nord. Felicemente mamma e moglie. Laureata in scienze politiche, con tesi in filosofia politica. La scrittura e le parole sono sempre state la sua passione: si occupa principalmente di questioni di genere, con particolare attenzione alle tematiche del lavoro, della salute e dei diritti.