C’era una volta una coppia di innamorati... prima andarono a vivere insieme e poi, piano piano, sbocciò in loro un desiderio naturale: avremo un bambino! Mandarono così la richiesta ufficiale alla signora Cicogna e... si misero in dolce attesa.

Dopo 9 mesi, in una splendida mattina di primavera, sentirono bussare alla porta e, quando aprirono, trovarono un fagotto con dentro il loro amato figlioletto!!!

Quando una donna scopre di essere finalmente rimasta incinta, la coppia comincia subito a fantasticare sulla vita che si prepara ad accogliere e, proprio come nelle favole, si aspetta il classico lieto fine... non è facile per loro mettere in conto che le cose possono non andare così... perché è triste pensare che si debba affrontare un aborto spontaneo o, peggio ancora, un aborto terapeutico...
Purtroppo questo tipo di situazione è molto più comune di quello che si pensi e trovo immensamente triste la solitudine con cui si devono confrontare le coppie che, purtroppo, sperimentano questo tipo di dolore.

La giustificazione medica più in voga per consolare i genitori è quella “dell’anomalia genetica non compatibile con la vita”... di fatto ognuno può trovarsi la spiegazione che più si adatta al proprio sistema di valori e al significato che attribuisce alla vita e alla sofferenza... però poi, spiegazioni a parte, bisogna fare i conti con l’effetto che questa esperienza ha avuto su se stessi... bisogna affrontare le notti e i giorni interminabili in cui niente  sembra avere più importanza... bisogna trovare un motivo per ricominciare!
Ma come? In alcuni momenti può sembrare impossibile...

Non aiuta certo il fatto che al giorno d’oggi la gravidanza sia completamente medicalizzata: alle donne, spesso, non viene dato modo di ascoltare il proprio corpo e di rispettare i suoi tempi...
In caso di aborti spontanei non immediatamente espulsivi, per esempio, la macchina medica prevede un immediato intervento esterno che, non tenendo conto del livello psicologico di questo processo di separazione, può essere vissuto come uno strappo, un’invasione, una violenza... insomma qualcosa che, in realtà, allunga i tempi di ripresa della donna e perfino della coppia.

Un’altra possibile reazione è quella di cadere nella fredda indifferenza silenziando il dolore che si prova buttandosi a capofitto nel lavoro, nella palestra o nelle pulizie di primavera (anche se siamo a dicembre!!!) perché “chi si ferma è perduto”!
In questa società consumistica dove il valore delle persone si misura in quanto consumano e producono, questo motto ha implicazioni molto devastanti sulla nostra vita emotiva e sociale!!!
Sarebbe importante che in questo tipo di situazioni dolorose si potessere rispettare la naturale necessità di “rallentare” i propri ritmi... ma troppo spesso questo ce lo impediamo o ci viene impedito ed immoliamo i nostri ritmi naturali in nome dei ritmi della società consumistica... Sarebbe come se un albero decidesse di non perdere le foglie in autunno per guadagnare tempo e, a primavera, essere già pronto con le sue foglie sui rami!!!

Mi spiego meglio: un albero che d’autunno perde le foglie lo fa per affrontare il freddo del rigido inverno che è alle porte... in quello stesso albero, però, è già presente la potenzialità di rifiorire a primavera!!! Certi che anche in noi rifiorirà l’energia per riprogettare il nostro futuro, dovremmo poterci raccogliere per digerire la perdita subita. Non dovremmo temere di “perdere le foglie”!

Il vissuto relativo ad un’interruzione di gravidanza, infatti, è quello di un vero e proprio lutto, sia che l’interruzione sia stata volontaria sia che sia stata spontanea. Arrivano pensieri di ogni genere, sensi di colpa, il desiderio sessuale può scomparire ed è tutto normale, tutto rientra nel piano della Natura che sta concentrando le poche energie di cui si dispone per superare la crisi.
La depressione che ne consegue, quindi, è fisiologica e può aggravarsi solo se viene trascurata facendo finta di niente, continuando a portare avanti tutte le attività precedenti, non permettendosi il ritiro e il riposo necessari...
Naturalmente, con “ritiro” non intendo una chiusura ermetica in sé stessi, ma il sapersi circondare solo delle persone più intime con cui ci si sente in grado di condividere il proprio dolore... e, là dove sia possibile, il partecipare a qualche incontro di gruppo con donne che hanno vissuto lo stesso tipo di esperienza!

Qualsiasi sia la strada che si sceglie, gli ingredienti essenziali sono il tempo e l’ascolto di sé e del partner... poiché la rielaborazione del lutto di un aborto non solo ci permette di non avere conseguenze più serie a distanza di 6 mesi o anche di un anno, ma è assolutamente necessaria per rinforzarci e prepararci ad accogliere una nuova vita!

Articolo della Dott.ssa Simona Giannecchini Visita il sito
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