Con Margherita Bottino, psicologa ed autrice di diverse pubblicazioni sui temi dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere, parleremo – senza pregiudizi e cercando di non “inciampare” nei soliti luoghi comuni - dell’omogenitorialità, delle famiglie omosessuali, una realtà ancora per molti versi sommersa, ma di grande rilevanza sociale.

Domanda: Cosa si intende per omogenitorialità?
Risposta: Le famiglie omosessuali sono famiglie in cui almeno un genitore è omosessuale; come per le famiglie in generale, ne esistono di diversi tipi e forme a seconda dei percorsi dei membri che le compongono. Per schematizzare, vi sono due principali percorsi: le famiglie pianificate (quando la scelta di genitorialità avviene all’interno della coppia omosessuale) e quelle ricostituite (quando il figlio è nato da una precedente unione eterosessuale).
Perciò l’omogenitorialità non è qualcosa da concedere o meno: esiste già e, con tutta la prudenza che è bene riservare alle stime, si calcola che 100.000 bambini italiani abbiano almeno un genitore omosessuale.

D: Molti pensano che i bambini debbano avere un padre ed una madre, cosa dicono in merito le ricerche?
R: Senza l’apporto di entrambi i sessi nessuna vita umana può nascere. Ma da questo principio biologico non derivano automatismi per passare a imperativi sociali che vorrebbero famiglie costituite solo da due persone di sesso diverso. Le figure materna e paterna possono essere reinterpretate come funzioni. Quella materna è da sempre considerata accogliente: soddisfare le esigenze affettive e materiali del bambino. Quella paterna invece è considerata normativa: introdursi nella diade madre-bambino per inserire disciplina e senso della realtà. Anche nelle famiglie eterosessuali chi adempie in concreto alle due funzioni non è automaticamente determinato dal sesso, anzi, sempre di più i ruoli genitoriali sono sfumati e sovrapposti.
Se invece parliamo di modelli di genere (ovvero come il bambino impara a diventare un maschio e la bambina una femmina), figure di entrambi i generi sono sempre accessibili tra i parenti, gli amici di famiglia, nell’ambiente sociale e scolastico, nelle rappresentazioni mediatiche, ecc…

D: Un’altra obiezione si riferisce ai danni psicologici che questi bambini potrebbero riscontrare, quali sono i risultati delle ricerche?
R: Le innumerevoli pubblicazioni scientifiche internazionali non hanno mai presentato alcun danno riferibile al genere o all’orientamento sessuale dei genitori, anzi! Nelle famiglie pianificate, i figli sono tenuti in gran conto proprio per la scelta molto complessa che implicano concepimento e adozione. In genere, i figli di coppie omosessuali hanno livelli di adattamento, autostima e funzioni cognitive del tutto simili a quelli delle coppie eterosessuali. Spesso mi chiedono se i figli cresciuti in famiglie omosessuali diventino a loro volta omosessuali e anche questo è stato confutato dalla letteratura scientifica: diventano omosessuali nella stessa misura in cui lo diventano crescendo in famiglie eterosessuali.
È stata appena pubblicata sulla rivista Pediatrics, l’organo ufficiale dell’American Academy of Pediatrics, una ricerca condotta da Nanette Gartrell dell’Università della California – San Francisco e da Henny Bos, dell’Università di Amsterdam, che ha rivelato che gli adolescenti figli di coppie lesbiche vanno meglio a scuola e sono più tranquilli. Si tratta di uno studio longitudinale, iniziato nel 1986, che ha preso in esame 78 coppie lesbiche con figli, intervistando a più riprese le madri dal momento dell’inseminazione in poi e successivamente anche gli stessi figli, confrontando i risultati con quelli di un gruppo di controllo compatibile per educazione e livello economico dei genitori, ma figli di coppie etero.
I due campioni hanno rivelato punteggi molto simili per quanto riguarda gli indicatori dello sviluppo e del comportamento sociale; ma i figli delle coppie lesbiche hanno registrato valori più alti nelle misure riguardanti l’autostima e la sicurezza, nell’andamento scolastico e hanno rivelato minori problemi di comportamento, come ad esempio l’infrangere le regole e l’aggressività.
Le coppie lesbiche, proprio perché attendono e si preparano tanto per la maternità e sono così coinvolte nell’allevare i propri figli, si rivelano quindi un ambiente sano ed altamente funzionale per l’equilibrio e il funzionamento psicosociale dei figli.
Un’opinione condivisa anche dal sociologo Stephen Russell dell’Università dell’Arizona: “La ricerca conferma quello che molti psicologi dello sviluppo già sospettavano e cioè che i bambini con genitori omosessuali crescano in maniera altrettanto equilibrata di quelli nati in famiglie etero”.

D: I figli di omosessuali sono vittime di bullismo e discriminazione?
R: Fortunatamente, dalle esperienze che ho raccolto tra i genitori omosessuali non emergono situazioni critiche in questo senso, anche se è un’eventualità possibile. Ma hanno subito scherno anche i figli di divorziati, quando il divorzio era raro. Il rischio di stigma esiste per chiunque sia “diverso”: basta essere grassi o bruttini, immigrati o poveri. Avere genitori omosessuali non è in alcun modo peggiore di altre condizioni familiari.
Chiaramente, più la realtà delle famiglie omosessuali riceverà riconoscimento sociale e giuridico, meno genitori e figli saranno vissuti come “diversi”. Inoltre la legittimazione libererebbe queste famiglie dallo stress psicologico (noto in psicologia come “minority stress”) del vivere nella precarietà sociale e giuridica, senza poter contare con certezza sulle risorse e i diritti di cui godono le famiglie eterosessuali, per lo meno quelle coniugate. Ciò renderebbe il clima familiare più disteso e solido, a tutto vantaggio del benessere psicofisico dei suoi membri, bambini in primis!
Anche per questo è nata nel 2005 l’associazione Famiglie Arcobaleno: passata rapidamente da dieci a centinaia di famiglie con genitori omosessuali.

Intervista di Monica Faggiano

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