I confini della tua lingua, direttamente o indirettamente, diventano i confini del tuo mondo, nel bene e nel male. E diventa estremamente difficile sentirti parte, anche parziale, anche piccola, di questo tuo mondo nuovo se non disponi con scioltezza della prima forma di comunicazione di noi umani. 

Ho scoperto di recente una frase del filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein I confini della mia lingua sono i confini del mio universo": appare nel sito del polo scolastico italo-svizzero di Zurigo, cioè la scuola italiana bilingue che propone un percorso di istruzione (dalla scuola dell'infanzia al liceo) riconosciuto dall'ordinamento svizzero, ma con tempi e programmi prevalentemente basati sui criteri applicati dalle scuole italiane.

Devo ammettere che, la prima e probabilmente più grande difficoltà che mi sono immaginata, al momento di valutare l'opzione espatrio, è stata proprio quella linguistica. Soprattutto perchè non di lingua qualunque si tratta, ma dello svizzero-tedesco. In gioventù ho studiato per parecchi anni l'inglese, che mi ha anche aiutato a muovermi per il mondo quando necessario, e il francese, rimasto in pratica sui soli libri di scuola. Mai neppure pensato lontamente di affrontare il tedesco, magari altre lingue, chessò il russo o il cinese, se del caso. Ma perchè il tedesco?

Lingua che, mi spiace dirlo, pare davvero agli antipoldi della melodia, del suono armonioso che invoglia la sua comprensione, gutturale, piena di strani accenti, con nomi scritti con la lettera maiuscola (non i soli nomi propri, eh!) e parole lunghe quanto il traforo del San Gottardo.
Coi verbi in fondo alle frasi.

Bisogna anche considerare, poi, che lo svizzero-tedesco è in realtà un dialetto di origine tedesca, ma abbastanza differente per vocaboli e pronuncia. Come tale non ha una grammatica scritta "ufficiale" ed è, quindi, solo parlato.
A scuola si studia il tedesco di Germania, almeno sulla carta, perchè gli svizzeri pare non vedano di buon occhio i tedeschi e siano estremamente orgogliosi della loro lingua natia. Peccato che il tedesco ufficiale sia comprensibile per uno svizzero, ma non viceversa.
Con il risultato che anche chi ha studiato il primo non è affatto in condizioni di comprendere senza problemi il secondo. Un discreto casino, quindi.

E allora sorgerebbe spontanea la domanda: perchè dannarsi nello studiare una lingua così ostica quando ormai, in questi paesi evoluti, tutti parlano almeno l'inglese?

C'è chi sostiene che in Svizzera sia possibile vivere anni senza l'assoluta necessità di capire e parlare la lingua del luogo: gli svizzeri sono noti per la grande flessibilità linguistica. In una nazione grande quanto un francobollo ci sono quattro lingue ufficiali (tedesco, francese, italiano, romancio), a seconda dei cantoni di riferimento. La stragrande maggioranza della popolazione parla almeno un'altra lingua oltre alla propria lingua madre (spesso almeno un'altra delle lingue ufficiali e nelle persone con scolarizzazione medio-alta è praticamente scontato trovare una eccellente conoscenza dell'inglese).

Ma, al di là delle considerazioni teoriche, un giorno ti trovi all'improvviso in uno di questi Paesi evoluti ed è vero che (quasi) tutti parlano l'inglese, molti anche l'italiano, ma viverci tutti i giorni, uscire di casa, entrare in un negozio, vedere la locandina di un giornale o i volantini delle offerte al supermercato e non capire assolutamente niente, non è che sia proprio una bella sensazione.

I confini della tua lingua, direttamente o indirettamente, diventano i confini del tuo mondo, nel bene e nel male. E diventa estremamente difficile sentirti parte, anche parziale, anche piccola, di questo tuo mondo nuovo tagliando fuori la prima forma di comunicazione di noi umani. Per non dire del fatto che, ogni due per tre, ti senti una perfetta idiota quando non sei in grando di rispondere al vicino che ti saluta in ascensore, al passeggero del tram che fa un complimento a tuo figlio, a tuo figlio medesimo che, dall'altro dei suoi quasi-tre anni ti chiede: "Cosa ha detto il bimbo, mamma?"

E, se non ti dai una mossa (per quanto possibile, perchè i tempi medi di apprendimento del tedesco per un italiano sono mooolto lunghi: due - tre anni almeno), finisci che sarà proprio lui, tuo figlio a doverti fare da interprete e traduttore nel mondo straniero ed ostile.

Che i bambini si sa, beati loro, non hanno di questi problemi e imparano ciò che c'è da imparare alla velocità della luce, facile o difficile che sia.

 

 

 

Ritratto di Carlotta G

Posted by Carlotta G

Da sempre curiosa di altre culture e abitudini, mamma espatriata con famiglia a Zurigo dal (quasi) lontano 2013. Blogger a tempo perso, studentessa suo malgrado di lingua teutonica e insegnante di Yoga, dove finalmente è solo se stessa e prova ogni tanto a indicare anche agli altri la possibilità di essere solo se stessi.
Da secoli si ripromette di scrivere un libro, forse, prima o poi. Non sullo yoga, ma sulla capacità di "vivere altrove". Intanto scrivo della mia vita a nord delle Alpi anche sul mio blog personale La vita a modo mio