Get up, stand up for women's rights!  
Il 10 dicembre sarà celebrata in tutto il mondo la Giornata dei diritti umani.
C'è sicuramente uno stridore tra le dichiarazioni di principio che verranno sciorinate in questa occasione e quanto accade da anni in Paesi dilaniati da conflitti e la cui popolazione vede i propri diritti umani pesantemente negati, quasi come se fossero meno umani di altri, come se le loro vite avessero un valore minore. Sì, perché evidentemente l'umanità non ha ancora raggiunto un livello sufficiente di uguaglianza, che sia capace di tradursi in pari diritti e salvaguardia di essi.

I miei diritti non dovrebbero essere dissimili da quelli di un altro, eppure.

E vedo nel conflitto un tentativo di dare atto a un processo di negazione dei diritti, proseguendo in quel lavoro di deumanizzazione che poi giustifica ogni violenza.

Come analizza Chiara Volpato nel suo "Deumanizzazione. Come si legittima la violenza", la deumanizzazione si può esprimere esplicitamente, tramite strategie che negano apertamente l'umanità di altri individui o gruppi, allo scopo di giustificare sfruttamenti, degradazioni e violenze, oppure attraverso modalità più sottili, che lesionano l'altrui umanità, poco per volta. Ricorrere a paragoni con animali, mostri, diavoli, considerarli oggetti, merci, strumenti, privi di anima sono tutti metodi per negare la loro appartenenza all'umanità.

Noi donne, come genere storicamente relegato a un gradino inferiore, abbiamo subito molti di questi processi di deumanizzazione.

Quante volte nei conflitti si è ricorso alla deumanizzazione del nemico?

A volte però non basta ed è necessaria un'operazione di "ristrutturazione" della morale, per rendere accettabili certe operazioni di guerra: si parla di guerra santa, giusta, di peacekeeping.

Albert Bandura ci spiega come la deumanizzazione costituisca un processo di disinnesco delle ragioni morali: se percepissimo il nemico come umano, scatterebbero delle reazioni empatiche, proveremmo compassione, angoscia e sensi di colpa.

Pertanto rendendo l'altro inumano, subumano, le nostre sentinelle morali si affievoliscono.

Capite che è più facile trascurare l'incidenza dei "danni collaterali" tra le popolazioni civili e tollerare la violazione dei diritti umani.

Lo vediamo oggi sotto i nostri occhi, abituati da più di un decennio di guerra al terrore.

Da una parte troviamo l'esposizione mediatica dei corpi dei nemici uccisi, oggetti, proprio come in epoca coloniale, dall'altra c'è la protezione dei "nostri" morti, a cui si attribuisce rispetto e pietà, non sempre estendibili ad altri gruppi.

Ancora una volta i diritti non sembrano valere allo stesso modo per tutti/e.

La deumanizzazione colpisce anche i migranti, i richiedenti asilo e i rifugiati, rappresentati dai media come clandestini privi di qualità morali e umane, utilizzati da una certa propaganda politica come un corpo unico di criminali o di terroristi, pericolo per il futuro del paese.

Strettamente connesso a questo tipo di trattamento, è l'oggettivazione. L'oggettivazione è un particolare tipo di deumanizzazione, per cui l'individuo è considerato alla stregua di un oggetto, merce, strumento.

Il prototipo è lo schiavo. Recupero dal testo di Volpato le sette dimensioni del concetto di oggettivazione di Martha Nussbaum:

1. l'oggetto è uno strumento per scopi altrui

2. l'oggetto è un'entità priva di autonomia e autodeterminazione

3. l'oggetto è un'entità priva di capacità di agire e di essere attivo

4. l'oggetto è interscambiabile con altri oggetti della stessa categoria

5. l'oggetto è un'entità priva di confini che ne tutelino l'integrità, è quindi possibile farlo a pezzi

6. l'oggetto appartiene a qualcuno e può quindi essere venduto o prestato

7. l'oggetto è un'entità le cui esperienze e i cui sentimenti sono trascurabili.

La strumentalità è molto pericolosa perché rende l'oggetto appetibile e mercificabile, in quanto c'è un mercato che lo richiede.

La sessualizzazione della donna, il suo essere confinato a mero oggetto di attrazione sessuale, la rende strumento di piacere altrui, realizzando quella che MacKinnon analizza come oggettivazione sessuale nella quale le donne sembrano essere immerse.
Le donne vivono qualcosa di simile all'alienazione lavorativa di Marx, una frammentazione tra le loro funzioni sessuali e tutto il resto (Bartky).

L'oggettivazione sembra avere un'altra ricaduta negativa, porta a un impoverimento dell'interazione sociale, portando le donne a esprimere raramente i propri pensieri e opinioni.

Le ricadute peggiori sono quelle che vedono coinvolto l'equilibrio psico-fisico: l'oggettivazione che porta all'auto-oggettivazione che scatena stati depressivi, disfunzioni sessuali e disturbi alimentari. Quando si comprende di non poter raggiungere certi standard, modelli di corpi, scatena una serie di disturbi legati al senso di inadeguatezza.

Questo riferimento all'oggettivazione è un chiaro passepartout per consentire che passino inosservate e impunite tutta una serie di violenze e violazioni di diritti umani fondamentali.

Tutto ciò che indebolisce e mette in discussione l'umanità, consente che anche i diritti possano diventare un optional, da applicare e disapplicare a piacimento.

Ho già parlato altrove dell'oggettivazione che consente di pensare alle donne come merce sessuale per il mercato della prostituzione, di come i corpi vengano separati dall'unicum persona e possano pertanto diventare cose, beni interscambiabili, sostituibili, commerciabili.

Ho letto di recente in un'intervista sul tema della maternità una frase che mi ha dato la misura di questa deformazione oggettivante: "L’utero surrogato è in prestito. A tempo."

Non è effettivamente così, visto che la donna che si presta a ospitare la gravidanza conto terzi (e non il suo utero, qui rappresentato come elemento esterno e estraneo alla donna, che non dimentichiamo non è un oggetto, un involucro; la gestazione non consiste in una incubatrice meccanica con finalità riproduttive. Ricordiamoci che sono donne e non uteri!) deve sottoporsi a bombardamenti ormonali per niente innocui e i cui effetti non si esplicano solo nell'arco del processo della fecondazione/gravidanza.

Un utero, parte di corpo che viene oggettivata, quasi che fosse "estraibile", componente meccanica atta alla procreazione, senza alcun nesso con la persona donna.

Una volta oggettivato, tale utero diventa vendibile e dato in comodato d'uso gratuito o a pagamento. A questo punto possiamo farlo anche con altri organi del nostro corpo.

Ci siamo chiesti perché è vietata la vendita e l'acquisto di organi?
Chi sono io per sottovalutare questi rischi che sto facendo correre a questa donna?
Viene prima la mia volontà di genitore del suo diritto a essere salvaguardata, a essere considerata persona e non corpo o parte di esso?
Vengono prima i miei soldi o la sua salute?

Perché come donne in primis e come femministe, se siamo capaci di empatia, qualche domanda dovremmo porcela.

Poi leggo anche: "Chi sono io per impedire a una donna di fare soldi con il proprio corpo?" e qui ritorna la legge neoliberista che ascrive la violazione del corpo di donna a uno strumento di emancipazione economica, lo stesso discorso che si usa fare sul tema della prostituzione.

L'etica non va tirata in ballo solo quando conviene, perché mettere a repentaglio la vita e la salute di un'altra donna dovrebbe essere un elemento inaccettabile a priori.

Io posso decidere di sottopormi a tutti gli interventi e sollecitazioni ormonali per diventare madre, ma è finalizzato a un figlio che non dovrò produrre come un bene per altri, non dovrò cederlo come se fosse anch'egli un oggetto, un prodotto, una merce.

Quante di queste donne sono consapevoli dei rischi che corrono con la surrogacy, quante sono costrette dal bisogno, da leggi del mercato che ti mettono in vendita.
Sono ancora una volta le donne a essere "adoperate" (non è rilevante da chi, uomo o donna non fa differenza), non vi suona strano?

Se il mercato mi offre una donna (a fini sessuali o riproduttivi), spesso rappresentata attraverso parti del suo corpo, almeno in quanto donne dovremmo svegliarci e capire cosa c'è dietro.

Il mio desiderio di genitorialità non può ledere un diritto altrui e non può passare attraverso la mercificazione di un corpo.

Nessun essere umano è riducibile a una merce acquistabile o vendibile sul mercato, questo vale in ogni caso.
Le leggi devono proteggere i diritti di tutti e non possiamo consentire che ci siano buchi solo perché si antepongono questioni personali a un bene collettivo e diffuso.
Non possiamo ragionare per casi singoli, le norme devono tutelare da abusi in ogni caso.

Purtroppo non possiamo negare tali abusi, altrimenti non ci sarebbero tante "farm" che hanno un giro così enorme di denaro, in paesi in cui i diritti sono più flebili e i bisogni enormi. Io non me la sento di negare la palese violazione di diritti.

In tutto questo mix quanto sembrano posticce certe battaglie se poi non siamo in grado di applicare un grado minimo di rispetto per i diritti altrui nel nostro quotidiano, nelle relazioni, nella capacità di non perdere mai di vista la nostra umanità, indipendentemente da ogni dettaglio culturale, etnico, di genere ecc.

Costruire un mondo in cui i diritti umani non siano soggetti a compromessi deve essere parte della nostra prassi quotidiana.

I diritti non devono avere territori in cui possono essere sospesi, non possiamo immaginare una parte di umanità che viva con meno diritti per permettere a noi di vivere bene. Non possiamo in definitiva girare la testa dall'altra parte.

La deumanizzazione che riduce le persone a merci da vendere e da acquistare sul mercato ci espone al rischio di una deriva in cui l'umanità non riconosce più un valore fondamentale: il rispetto delle persone, e le donne sono esseri umani a tutti gli effetti, non dimentichiamo mai di ribadirlo.

I diritti umani non sono contrattabili, MAI!



Articolo di Simona Sforza

 

 

Giornata mondiale dei diritti umani - 10 dicembre

 

Ritratto di Simona Sforza

Posted by Simona Sforza

Blogger, femminista e attivista politica. Pugliese trapiantata al nord. Felicemente mamma e moglie. Laureata in scienze politiche, con tesi in filosofia politica. La scrittura e le parole sono sempre state la sua passione: si occupa principalmente di questioni di genere, con particolare attenzione alle tematiche del lavoro, della salute e dei diritti.