UDIENZA DELL’8 APRILE 2014
LA DONAZIONE DEI GAMETI AL VAGLIO DELLA CORTE COSTITUZIONALE

 

INTERVENTO ALLA CORTE COSTITUZIONALE
DELL’AVV. MARIA PAOLA COSTANTINI

(difensore delle coppie di Milano e Catania nonché referente nazionale di Cittadinanzattiva per le politiche di PMA)

 

Illustri Presidenti e Giudici della Corte

Consentitemi di affrontare sinteticamente alcune questioni che sono sottese all’odierno giudizio.

1.      L’assunzione di responsabilità nei confronti dei propri cittadini, nonché il mancato rispetto di principi ormai saldi nel nostro ordinamento

Appare con ogni evidenza il vuoto di tutela e l’assenza di regolamentazione nel nostro Paese di un fenomeno in atto che tocca migliaia di persone, a causa del divieto di donazione di gameti. Forse, non si è consapevoli del fatto che ciò si risolve in una mancata assunzione di responsabilità nei confronti dei propri cittadini, nonché nel mancato rispetto di principi ormai saldi nel nostro ordinamento.

E ci si potrebbe domandare in quale modo il divieto di eterologa risponda non solo alla ben nota protezione assicurata dal richiamato art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo come interpretata dalla giurisprudenza della CEDU,  ma soprattutto all’impegno nei confronti della tutela della maternità sancita dall’art. 1 della Legge 194 del 1978 e che assegna allo Stato specifici compiti.  Anche la legge n. 40/2004 riconosce come la procreazione attraverso i metodi della fecondazione assistita sia un bene giuridico da tutelare e inserisce fra i principi fondamentali della normativa la tutela dei soggetti con problemi di infertilità e sterilità, definendo doveri e obblighi degli enti statali e regionali, nonché degli operatori sanitari, sia per favorire l’accesso alle cure, sia per garantire la massima protezione della coppia e del concepito.  Con la già citata sentenza 151/2009, questa Corte ha richiamato la necessità di tutelare le giuste esigenze di procreazione e di salvaguardare la integrità psicofisica della donna che accede alle tecniche di fecondazione in vitro. Sussistono quindi obblighi positivi e doveri espliciti nonché garanzie specifiche e fondate costituzionalmente. In più punti la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea impegna gli Stati membri  a garantire un elevato livello di tutela, a porre al centro delle legislazioni nazionali la persona, la sua integrità psicofisica e il pieno sviluppo della sua personalità.

Ma queste stesse garanzie e responsabilità nel nostro Paese non sono esercitate nei confronti delle coppie sterili, legittimate sì a perseguire un progetto genitoriale ma non alla stregua delle altre coppie.

Per le coppie in generale che desiderano aver un figlio il sistema sanitario attraverso il cd “percorso- nascita” consente una gravidanza sicura e serena predisponendo personale, strutture e mezzi.

Per le coppie infertili, grazie alla Legge 40/2004, è stato predisposto un percorso guidato, sicuro e attento sia dal punto di vista medico che psicologico, atteso che la normativa assicura per loro l’apporto di uno psicologo, il monitoraggio continuo e competente in merito alla salute della madre e a quella del bambino che nascerà, la tracciabilità di tutto il percorso, la possibilità di individuare patologie e altre problematiche sul nascituro e poi sul nato. Questo percorso è garantito dal sistema sanitario nazionale e regionale e da norme stringenti sulla qualità e la sicurezza dei centri, sulla competenza degli operatori, sul funzionamento di apparecchiature e macchinari. È garantito inoltre dall’importantissimo ruolo svolto dal Registro della procreazione assistita dell’Istituto Superiore di Sanità che raccoglie i dati e monitorizza le nascite.

Ma per le coppie di cui uno dei partner è affetto da sterilità la protezione non esiste, nonostante il fatto che la stessa Legge 40/2004 metta tali soggetti sotto la sua protezione.

A causa del divieto posto all’art. 4 comma 3 della Legge 40, queste coppie si trovano in una condizione di abbandono che caratterizza tutto il loro percorso, che per forza di cose si svolge nella fase fondamentale all’estero.  E quindi: nella scelta da effettuare, nei centri dove andare, nella difficoltà  di essere seguite e condotte a una maternità e paternità consapevole, responsabile e serena.

A questo proposito, non si richiamano, perché conosciute da tutti, le vicende delle coppie recatesi nei paesi dell’Est Europa come l’Ucraina dove non è possibile avere contezza – se non tramite informazioni ricavate da siti internet – della qualità dei centri e della competenza degli operatori. Né si richiamano le storie dolorose di coppie che dopo essere state a Cipro o a Creta hanno scoperto in un secondo momento che i controlli non erano stati eseguiti o che non sono riusciti a rintracciare i dati genetici del proprio figlio. Né vicende di truffe e abusi messi in atto da medici o centri che forniscono prestazioni commerciali, illudono e lucrano su donne e uomini.Sussiste un occultamento di queste persone e dei loro figli che non sono monitorati dalle nostre istituzioni e sono costrette a nascondere la propria condizione e le modalità di nascita dei loro bambini.

Il numero di nascite, frutto di donazione di gameti, non è conosciuto con esattezza, non potendo essere registrato essendo presente il divieto. L’Osservatorio sul turismo procreativo nel 2012 ha calcolato in 4.000 le coppie che si rivolgono a centri esteri e di più di 2500 bambini nati ogni anno. Questi nati tuttavia escono dalle statistiche ufficiali.

Si rispetta in tal modo la Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, spessa richiamata per sostenere la legittimità del divieto? Quale protezione consente loro il nostro ordinamento? La legge viene aggirata e quindi contiene una norma fittizia, ma le conseguenze ricadono sulle persone. E’ questa la dimensione solidaristica e personalista su cui si fonda la nostra Repubblica?

 

2.      Ci si deve chiedere al contempo se questa stessa responsabilità è esercitata nei confronti delle donne e degli uomini di altri Paesi

Si tratta di una questione grave che deve trovare la nostra attenzione. Ed è necessario farlo proprio in virtù e ai sensi della pronuncia della Grande Camera della Corte di Strasburgo dove si pone il rischio di mercificazione, in particolare delle donne donatrici. Nel nostro Paese si ritiene di essere esenti dalle responsabilità della possibile mercificazione delle donne di altre paesi, perché in fondo ciò sembra non avvenire in Italia poichè sussiste un divieto.Ma non sarà vero il contrario e cioè che è questo divieto che incrementa la mercificazione?   Non è forse proprio il divieto del nostro e di altri Paesi a creare un mercato degli ovociti? Non sussiste in questo senso una responsabilità morale oltre che giuridica nell’incentivare questo mercato?  La risposta attuale sembra essere caratterizzata da una totale indifferenza morale e giuridica, come a dire che il problema non è nostro.

I dati pubblicati nel 2013, dall’ESHRE, riferiti all’attività complessiva della riproduzione assistita in Europa hanno rilevato che in Spagna nel 2009 sono stati effettuati 52.000 cicli: di questi, 10.982 sono stati cicli con donazione ovocitaria, rappresentando il 20,2% di tutta l’attività spagnola e addirittura il 60% di tutte le donazioni ovocitarie in Europa (21.604). E inoltre: sempre da tali dati risulta che in Spagna il 63% dei trattamenti su coppie di “migranti riproduttivi” viene eseguito su coppie italiane. In questo paese è previsto un rimborso per le donatrici, reclutate fra studentesse e persone che sono in difficoltà economica. E quindi con un proliferare del mercato sulle donazioni. Il dato sconcertante è rappresentato anche dai costi per le coppie italiane: fino agli 8 mila euro a fronte dei 4 mila euro per le coppie spagnole.

Ma la situazione più  grave è quella relativa all’aumento del ricorso al mercato esistente su internet dove è possibile acquistare senza alcun controllo i gameti necessari. Non è forse moralmente e giuridicamente più accettabile un sistema come quello inglese o quello francese che hanno consentito alle loro coppie di poter perseguire una legittima esigenza di procreazione, con responsabilità e consapevolezza e soprattutto senza sfruttare altri essere umani?   L’Italia non è forse impegnata anche in sede europea, ai sensi degli art. 3 della Carta fondamentale dei diritti dell’Unione Europea a rendere effettivo il principio che impone il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti una fonte di lucro? Si tratta di argomenti che vengono posti per sostenere il divieto di cui all’art. 4 della Legge 40/2004 ma in realtà è proprio questo divieto a incentivare una situazione del genere. Ignorare quanto avviene fuori dalle nostre frontiere rispetta il corretto bilanciamento tra i principi fondanti il nostro ordinamento?  

 

3.      Confini e conseguenze della modifica della norma

Fuori da schemi ideologici e avendo di mira i dati di realtà – posti peraltro a fondamento della pronuncia 151/2009 – occorre allora verificare se al contrario il nostro ordinamento consente quella serenità necessaria a eliminare il divieto esistente.

Negli atti depositati è delineato il quadro costituzionale così come risulta chiaro che sussistono le condizioni per una modifica nei limiti e nei confini di quanto disposto dalla Legge 40/2004, rispettosi quindi dei principi cardine della normativa.

 

·        Il primo confine è quello relativo al fatto che il divieto verrebbe ad essere eliminato solo per i soggetti a cui è già consentito l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita ai sensi dell’art. 5 e quindi alle coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, con partners entrambi viventi.

 

·        Il secondo confine riguarda il rispetto di quanto già previsto dalla Legge 40/2004 all’art. 1 comma 2 e all’art. 4 comma 2, e cioè che le procedure sono dirette ai soli soggetti che sono affetti da sterilità (e infertilità) e quindi rispettino indicazioni mediche. Nel caso specifico si deve parlare di sterilità di uno solo dei partner (non di entrambi perché altrimenti sarebbero altri i rimedi), determinata da malattie o altre situazioni relative alla salute di cui non sono responsabili e sono state diagnosticate da un medico.  

 

·        Un terzo confine, fa riferimento all’art. 4 comma 1 e 2 della Legge 40/2004 che consente il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita solo quando sia accertata l'impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione, nonché che le procedure siano effettuate in base a principi di gradualità e consenso informato. In Francia è consentita la donazione dei gameti sulla base di questo principio.
 

Se sono legittimi timori e paure è necessario ricordare come questi fossero presenti anche con la questione sottoposta al vaglio di questa illustrissima Corte relativa alle modalità di applicazione delle metodiche di procreazione assistita (la creazione degli embrioni e l’obbligo di trasferimento in utero di tutti gli embrioni prodotti). Si parlava di ritorno al far west e di deriva eugenetica. Al contrario, si è innestato un circolo virtuoso, consapevole e rispettoso delle rispettive responsabilità in accordo con le migliori pratiche mediche e con una autoregolamentazione da parte dei centri medici che immediatamente emanarono una Consensus conference. I dati del Registro della PMA hanno registrato un miglioramento della situazione in merito a numero di gravidanze ma soprattutto in ordine alla eliminazione e riduzione di complicanze come l’iperstimolazione, le gravidanze plurime, le malformazioni dei nascituri, gli aborti, ecc.  ecc.

Questi rischi di ritorno al far west non sussistono anche nel caso della donazione dei gameti.Ciò anche all’esame della stessa legge 40/2004 che ha già risolti e ben disciplinati i possibili e paventati rischi di mercificazione, di sussistenza di più figure genitoriali, di disconoscimento successivo di paternità, ecc.  Li richiamo sinteticamente.

In primo luogo, all’art. 12 comma 6 della Legge è vietata e sanzionata la commercializzazione dei gameti. In tal senso, la rimozione del divieto di eterologa non avrebbe come esito una mercificazione delle donatrici, né la creazione di un mercato di gameti che rimarrebbe penalmente sanzionabile. La donazione di gamete sarebbe assolutamente gratuita.

In secondo luogo, essendo all’art. 9 comma 1, vietato il disconoscimento di paternità il nato sarà accolto in un nucleo familiare stabile. Il divieto è stato rafforzato ulteriormente dalla pronuncia della Corte di Cassazione n. 11644/20012 che fonda il convincimento su due cardini: il consenso informato alla procedura e la protezione del minore.

In terzo luogo, in ordine alla paura di una pluralità di figure genitoriali, sempre nella Legge all’art. 9 comma 2 si stabilisce che il donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far valere nei suoi confronti alcun diritto né essere titolare di obblighi. L’unitarietà della famiglia non viene meno.

In quarto luogo, ai fini di una corretta applicazione della donazione dei gameti, sussiste già una  disciplina di riferimento. Si tratta del DLgs 191/2007 e del DLgs 16/2010 che richiamano esplicitamente la Legge 40/2004 e che sono la trasposizione di tre Direttive Europee. Inoltre con l’Accordo Stato-Regioni del 15 marzo 2012, tali norme sono state specificamente adottate per tutti i centri di PMA autorizzati. I quali sono sottoposti a verifiche e controlli da parte delle Regioni e del Centro Nazionale Trapianti.

Il Dlgs 191/2007 prevede che nella donazione siano osservati i principi di gratuità, tracciabilità, sicurezza e competenza; all’art. 10 si prevede un apposito Registro contenente tutti i dati sulle donazioni; all’art. 12 si regolamenta la donazione di tessuti stabilendone la gratuità e la volontarietà; all’art. 13 si disciplina il consenso informato che è ulteriormente normato dall’allegato 1 relativo ai donatori viventi; all’art. 14 la protezione dei dati e la tutela della riservatezza; all’art. 15 si stabiliscono norme e principi relative alla selezione, valutazione e cd approvvigionamento dei tessuti e dei donatori, all’art. 27 si prevedono sanzioni in caso di violazione sia di carattere penale che amministrativo.

E’ bene tenere presente l’art. 28, il DLgs 191/2007  stabilisce che con appositi decreti del Ministero della Salute, tutti i tipi di donazione di organi, tessuti e cellule siano ulteriormente disciplinati. Tale disciplina riguarda ovviamente anche le procedure relative al cd approvvigionamento dei gameti  e quelle relative alla selezione dei donatori.

Il sistema della donazione dei gameti è quindi sotto controllo e dispone di tutti gli strumenti normativi e regolamentari - come per altri tipi di donazione come quella degli organi – necessari a una corretta attuazione e a una stretta corrispondenza a principi fondamentali dell’ordinamento.

Tutto il sistema è stato ulteriormente rafforzato dal DLgs 16/2010 che specifica le procedure di valutazione del donatore, selezione dei tessuti e delle cellule, di sicurezza della pratica sanitaria, di tracciabilità di cellule e tessuti, di conservazione, definendo responsabilità e obblighi a carico dei sanitari. Si ripete che tali norme sono già vigenti e tutti i centri di PMA per le attività finora lecite ai sensi della Legge 40/2004 sono già tenute a rispettarle.

Non sussiste in alcun modo alcuna possibilità di selezionare i gameti secondo criteri eugenetici né è reale il rischio di soggetti “pluridonatori”, avendo a riferimento gli atti or ora richiamati.

E’, al contrario, il mercato su internet – oggi in pieno sviluppo – che sottopone le coppie a questo rischio.

Un ulteriore rafforzamento di quanto sostenuto proviene dal Documento del 30 marzo 2012 sottoscritto dalla Società Italiana Fertilità e Sterilità e Medicina della Riproduzione (Sifes), dalla Società italiana Ospedaliera Sterilità e dai CECOS.

In tale documento oltre che da altri documenti prodotti in questa sede, si fa riferimento all’applicazione di  un meccanismo di natura altruistica fra coppie con problemi di infertilità già attuato in Inghilterra denominato “egg-sharing”. Questo metodo ha consentito di donare annualmente circa il 40% degli ovociti necessari (“fabbisogno”) nel paese e oltre 30.000 donne inglesi hanno già ricevuto una donazione. Esso prevede che attraverso un percorso di consenso informato (da noi già disciplinato in tal senso), siano le coppie che accedono ai centri di fecondazione assistita a donare i propri gameti soprannumerari, con garanzie in ordine ai controlli sanitari, con l’adozione di un sistema “casuale” e non di scelta del gamete, assolutamente gratuito e volontario.

Conclusioni

In conclusione, consentitemi di richiamare quanto altri autorevoli esponenti della Dottrina hanno puntualizzato:  “Il fatto che in Italia la donazione di ovociti sia vietata, e che questo sfruttamento avvenga in altri Paesi, non ci toglie dall’imbarazzo che proviamo quando leggiamo notizie o vediamo trasmissioni televisive sul mercato dei gameti e della maternità. Vien da pensare che, forse, una disciplina domestica basata su solidarietà e gratuità, che non lasci spazio al mercato, potrebbe essere uno dei modi per contrastare questi fenomeni.

E allora, l’eliminazione del divieto posto dall’art. 4 comma 3 della Legge non potrà che rafforzare la tutela dei diritti fondamentali. Non è più eludibile una risposta in tal senso,

perché tutti noi siamo consapevoli della necessità di procedere tenendo conto della evoluzione della società, del progresso sociale e degli sviluppi scientifici e tecnologici, principi tutti condivisi in sede italiana ed europea.

perché tutti noi siano consapevoli della necessità di contribuire alla costruzione di uno spazio giuridico europeo fondato sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà.

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