Intervista a Daniela Muggia, tanatologa, coautrice insieme alla psichiatra Emila Costa di Giù le mani da Pierino, in libreria a novembre.

Cosa può indurre una tanatologa, di solito più attenta all’altro estremo della vita, ad occuparsi di bambini con ADHD e a cercare un’alternativa ai farmaci?
 
In 22 anni di volontariato, mi è capitato spesso di imbattermi in bambini con ADHD nelle famiglie in cui qualcuno moriva, o nelle classi che ho accompagnato nel lutto insieme all’Associazione Tonglen.
L’Accompagnamento empatico della sofferenza è un metodo nato dagli studi più avanzati in campo neuroscientifico e dallo straordinario corpus di insegnamenti tradizionali della grande tanatologia tibetana, che descrive meticolosamente lo stato mentale dominante alla fine della vita, eminentemente empatico; su questo fa affidamento l’accompagnatore, che con apposite tecniche meditative entra in uno stato di lucida quiete e di grande compassione, poi assorbito dal morente proprio in virtù dell’empatia connaturata alla fase conclusiva della vita.
Questo “assorbimento” si rivela garanzia di una buona morte, non squassata da rimpianti, sensi di colpa, paure, faccende lasciate in sospeso; ma assorbire uno stato di quiete è anche un’esperienza memorabile per i bambini agitati.
 
Una sorta di contagio, insomma...
 
Sì, ma è meno semplice di quel che sembra: per entrare nello stato suddetto serve un certo addestramento, ma molto di più ne serve per riuscire a permanere in quello stato mentre il Pierino di turno si rotola per terra, sbraita 
e prende a calci la porta. Tuttavia a un certo punto il contagio avviene. E non esige da parte del bimbo alcuna concentrazione, cosa improbabile per via dell’ADHD.
 
Siccome non è un mistero che i trattamenti a base di psicofarmaci prescritti per questa sindrome abbiano pesanti effetti collaterali (1) credo che una soluzione non invasiva, da qualsiasi campo dello scibile provenga, vada proposta, sottoposta ad indagine e infine applicata: i bambini sono il nostro stesso futuro!
 
Può spiegarci in breve la genesi dell’approccio empatico al disagio del bambino con ADHD, e di questo insolito incontro tra psichiatria e tanatologia?
 
Quello che ha indotto Emilia Costa, psichiatra, e me, tanatologa, a scrivere insieme, è che siamo giunte alle stesse conclusioni, per vie diverse. 
L’empatia è presente in modo naturale in ciascuno, credo che una soluzione non di noi, e non solo: i neuroni specchio (2) esistono in tutti i mammiferi, i quali devono in genere alla coesione empatica del gruppo la loro stessa sopravvivenza.
Non è un caso che questa qualità innata sia particolarmente manifesta quando anche noi siamo più vulnerabili, nell’infanzia e alla fine della vita; la nostra società ha scelto di non tenerne conto, forgiando così una comunicazione inadeguata tanto con i bambini quanto con i morenti. E pensare che, proprio perché innata, l’empatia è coltivabile.
 
Il bambino con ADHD è nervoso, incapace di concentrarsi sui compiti e le regole che la scuola e la vita prevedono; spaventato per le emozioni incontenibili e violente che lo percorrono e che non sa verbalizzare, cercherà di esorcizzare le sue stesse paure con atteggiamenti spavaldi e provocatori, diventando quel “pestifero Pierino” che conosciamo, attirandosi repressioni e rimproveri in un loop inesorabile.
Dallo stato empatico tuttavia si percepiscono i bisogni dell’altro anche quando egli non può più (il morente), o non riesce (il bambino) ad esprimerli a parole.
E questo ci eviterà anche di proiettare sulla sua sofferenza ciò che noi “crediamo” possa essergli d’aiuto...
 
Nel libro si parla della sofferenza come di un mandala, altro termine preso a prestito dalla tradizione tibetana: di cosa si tratta?
 
Il termine mandala ci rimanda a un insieme composto da parti interdipendenti fra loro, per cui alterando una qualsiasi delle parti è l’intero mandala a cambiare;  esistono in tutti un concetto straordinariamente vicino all’idea di 
entanglement della fisica quantistica. 
Analogamente, possiamo agire sulla sofferenza del bambino agendo su una delle molte parti del mandala della sua sofferenza: il bambino stesso, l’insegnante, il genitore...
In ogni caso, l’insieme ne uscirà modificato. 
Non sono un’esperta del biliardo, ma mi ha sempre affascinato il gioco di sponda... 
 
Oggi il tema dell’empatia è molto di moda, ma c’è chi dice sia pericolosa se non ha un contenuto etico...
 
Sostiene giustamente T. Singer, del Max Planck, che nel nostro caso, oltre all’area del cervello che Institut (3) si attiva durante gli stati empatici e che è ben sviluppata anche nei torturatori (dovendo sapere esattamente quanto 
soffre la vittima), si attiva l’area della compassione: si tratta di un’empatia eticamente orientata. 
 
Il termine compassione, qui, va inteso nell’accezione della tradizione contemplativa a cui facciamo riferimento: “Quando la vostra paura entra in contatto con il dolore altrui, diventa compatimento; quando il vostro amore entra 
in contatto con il dolore altrui, diventa compassione”, scrive S. Levine. 
 
E non c’è il rischio di comportamenti fusionali?
 
L’empatia è una modalità per conoscere l’altro in cui possiamo sentire ciò che egli sente pur restando distinti da lui: distinti, ma non distanti. È aperta ad informazioni che viaggiano in modo diverso da quelle a cui fin qui il vecchio paradigma ci aveva abituati: nel campo quantico tutto sembra essere in contatto con tutto, sempre, per cui la comunicazione è sempre presente, quindi istantanea.
Di solito non ne siamo consapevoli, ma esistono tecniche antiche per diventarlo. Nuove conferme ci vengono dalle neuroscienze o dalla neurocardiologia (4)
 
Note:
2) Matteo Rizzato e Davide Donelli, Io sono il tuo specchio. Neuroni specchio ed empatia, Amrita, Torino 2011
4) Dott. Silvia di Luzio, Il cuore è una porta. Dalla scienza, un’ipotesi di evoluzione, Amrita, Torino 2011; Cfr. anche il sito dell’Institute of HeartMath
 
Potrai incontrare Daniela Murgia nella giornata Genitori in Azione, il 12 Aprile a Torino. Qui per tutte le informazioni sull'evento.
Genitori in azione a Torino, il 12 aprile

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