COSI’  COM’E’  LA  SCUOLA  NON   SERVE  A  NULLA...

Nel Pinerolese sta nascendo un coordinamento di docenti – e, in prospettiva, di adulti/e in generale – convocati/e dalla proposta di praticare e diffondere l’educazione alle differenze, alle relazioni, ecc.

Sono convinto che la scuola sia il luogo “centrale” insostituibile per seminare e far crescere questa consapevolezza nella parte adulta dell’umanità: imparando il rispetto e la cura nelle relazioni, adulti e adulte diventeranno educatori/e sempre più efficaci nei confronti delle successive generazioni. Contribuendo così ad avviare il mondo su una strada migliore.

La scuola è centrale, secondo me, perché nella scuola passano tutti gli uomini e tutte le donne che diventano poi genitori, educatori/e, preti, allenatori/e, eccetera... Importante è che crescano consapevoli che la genitorialità adottiva, al di là di quella biologica, è un compito inalienabile per ciascuno e ciascuna: siamo corresponsabili in solido dei cuccioli e delle cucciole che crescono.

Ma... “così com’è la scuola non serve a nulla”, scrive un preside sul numero di dicembre 2015 della rivista  Quale vita, bimestrale di riflessione e informazione nonviolenta edito a Torre dei Nolfi (AQ). Riporto  integralmente la sua riflessione, che condivido molto (Beppe Pavan - Uomini in Cammino, Pinerolo).

Il tempo dei rapaci: apprendere ad essere umani di Michele Montella, Preside.

Cosa è possibile dire, guardando una foto così? Quale estrema violenza si può ancora concepire? La Shoah dei nostri giorni si accanisce sui bambini ciecamente e noi sappiamo solo guardare ciò che accade con il sentimentalismo dei paternalisti; il mondo dell'educazione, la Scuola, le nostre scuole quale ruolo hanno nel combattere questa cultura?

Siamo anche noi chiamati da questo tempo, in cui ancora gli agnelli sono sgozzati da bestie rapaci, a dire una parola, a offrire spiegazioni o lo studio è solo una tragica e vuota ripetizione di pagine di libri e del nostro narcisismo professionale?

Ci occupiamo degli orari, delle ore e dei quarti d'ora in più o in meno che facciamo, se entriamo il lunedì o il sabato, se le classi sono piene o vuote, se ci sarà ancora il giorno libero, se il mare quest'estate è stato più sporco o più pulito di quello dell'anno scorso, se dobbiamo metterci a dieta, se conviene quella o quell'altra palestra, se gli alunni che avremo ci lasceranno in pace, se i registri da riempire avranno cento o centouno pagine, se la piattaforma online ci farà risparmiare tempo oppure ci costringerà ad un surplus di lavoro, se il calendario dei Consigli di classe è comodo oppure no, ma così poche volte ci lasciamo interrogare da ciò che avviene fuori e strazia il senso stesso della dignità umana, mai facciamo assemblee, incontri e approfondimenti per rinnovare un insegnamento ammuffito, che di tutto si occupa tranne che dei reali problemi del mondo; come se la matematica, il latino, la storia, la geografia, l'italiano non avessero nulla che vedere con le onde di quel mare in cui è annegato il piccolo Aylan.

Sarebbe necessario dire: "Da domani noi non conteremo più nulla, i nostri bisogni di occidentali sazi e informatizzati, dal cellulare ultramoderno, saranno uccisi dentro noi e rivivranno i maestri che dovremmo essere, impegnati a fare strada agli alunni, ad aiutarli ad apprendere, non a diventare i migliori, ma a migliorare il mondo dalla parte dei deboli".

L'unico apprendimento che vale ancora qualcosa.

La scuola deve progettare competenze per apprendere ad essere umani e non per imparare come si fa a trasformarsi in disumani prevaricatori.

Così com'è la scuola non serve a nulla e nessuna riforma riuscirà a riformare un cuore indurito da un benessere che difendiamo come se fosse l'ultima frontiera della nostra vita.

Tra il bimbo siriano morto e adagiato come un piccolo addormentato sulla spiaggia e noi ci sono pochi centimetri, perché anche noi siamo figli della cultura che lo ha ucciso.

 

Tratto da Quale vita, bimestrale di riflessione e informazione non violenta

 

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