Ricorderete come si è conclusa la vicenda della bozza della direttiva sui congedi di maternità del 2008: è finita in cenere ai primi di luglio.
Nulla di fatto, nessun accordo sulle 18 settimane di congedo. Come promesso, in pieno solleone estivo, la commissione europea ha appena pubblicato una roadmap  (quanto ci piace fare tabelle di marcia che poi nessuno tradurrà in fatti) che definisce le opzioni politiche in programma per affrontare le sfide della conciliazione lavoro-famiglia per genitori che lavorano.
Il sole di agosto produce questo documento. A poco serviranno delle tabelle di marcia, se poi non ci metteremo in marcia seriamente.

Dopo il solito preambolo di cifre e di mancati obiettivi raggiunti, gap salariali, servizi carenti o assenti, con un cenno alla bassa natalità e quindi alle sfide che pone una popolazione che invecchia, la mannaia secondo cui: “The Ageing Report forecast that, without additional measures, the employment rate of women is projected to rise to 67.3% in 2023 and 71.2% in 2060.” Altro che 75% nel 2020, in Italia poi siamo inchiodati a percentuali molto più basse rispetto alla media europea. Ma da quanto emerge dall'ultimo rapporto (indagine condotta su 3.254 mamme e 3.034 datori di lavoro) della Equality and Human Rights Commission http://www.equalityhumanrights.com/about-us/our-work/key-projects/managing-pregnancy-and-maternity-workplace/report , anche nel Regno Unito la situazione sembra peggiorata rispetto a 10 anni fa: una neomamma ogni nove ha dovuto lasciare il proprio posto di lavoro, per mobbing da parte di colleghi o capi, e il 20% del campione ha subito tagli di retribuzione e di bonus. Un chiaro segnale del fatto che, nonostante ci siano leggi specifiche, non è così difficile per un datore di lavoro aggirarle: in Italia come in UK.

Tornando al nostro documento, leggiamo (qui di seguito una mia traduzione riassuntiva): “pur rispettando l'autonomia e le competenze in materia dei singoli stati (la solita sussidiarietà e laissez-faire che uccide ogni tentativo di uniformare i diritti a livello europeo, a mio parere un errore macroscopico che rende l'UE impotente a livello nazionale, ndr), la differenza degli indici di occupazione delle donne nei paesi europei riflette le diverse performance dei mercati del lavoro e dei servizi pubblici, che può mettere a rischio la convergenza necessaria economica e sociale verso un mercato uniforme, considerato come qualcosa di omogeneo”. Nel “subsidiarity check” sono racchiuse tutte le solite verifiche che da sempre bloccano al palo qualsiasi tentativo di “riformare” e di razionalizzare le regole, che sembrano unitarie unicamente quando si tratta di interessi economici. No, la maternity e paternity leave non rientrano in questo ambito, la conciliazione non sembra prioritaria nell'agenda dei governi europei. Eppure, “the gender employment gap costs 325 billion euros to the EU, ie 2,5 % of the EU GDP.” Questi i costi del gap di partecipazione al mondo del lavoro.

Passiamo al punto B, in cui si esplicano le opzioni proposte. La prima riguarda le misure legislative.

  • Generalizzazione dei diritti esistenti per chiedere orari di lavoro flessibili per entrambi i genitori e donne e uomini con responsabilità familiari di cura, e rafforzamento dell'applicazione di tali diritti (telelavoro, job-sharing, orari di lavoro flessibili);
  • Invitare le parti sociali a valutare accordi sul congedo parentale, il lavoro a tempo determinato, il part-time, istituito ai sensi dell'articolo 155 del TFUE e realizzato dalle direttive dell'Unione europea;
  • Migliore applicazione e nuovi incentivi per l'adozione del congedo parentale da parte dei padri;
  • Miglioramenti alla direttiva sul congedo di maternità relativi alla protezione delle donne incinte e delle madri. Per esempio di potrebbero prevedere fondi per le madri che allattano dopo il ritorno al lavoro o per migliorare la protezione contro il licenziamento;
  • Introduzione di congedi per accudire anziani non autosufficienti o malati;
  • Rafforzare l'attuazione e dove necessario l'applicazione della direttiva 2006/54 sulla parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego e della direttiva 2010/41 sull'applicazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne che esercitano un lavoro autonomo.

L'UE parla della necessità di concertazione tra le parti sociali e di valutare i costi dell'implementazioni di tali misure. Sappiamo come vengono prese ultimamente le decisioni in ambito lavorativo, per la serie “Se non ti piacciono, noi andiamo avanti lo stesso”, con una contrattazione sempre più microfratturata a livello aziendale o di singolo dipendente.

Quindi procediamo con la nostra analisi del documento. L'opzione 2 affronta le misure “non legislative”. Che significa:

  • sviluppare ambiziosi parametri di riferimento a livello di UE, sotto forma di proposte di raccomandazioni del Consiglio, sul modello degli obiettivi di Barcellona sull'assistenza all'infanzia, raggiunti solo da alcuni paesi virtuosi;
  • un regolare monitoraggio e reporting pubblico sull'attuazione del quadro, in particolare, attraverso il semestre europeo e le relazioni tematiche;
  • un utilizzo mirato degli strumenti finanziari europei disponibili per sostenere gli Stati membri, come ad esempio il Fondo sociale europeo, per investire in progetti e infrastrutture necessarie per favorire la conciliazione lavoro-famiglia per assistere figli o anziani (per esempio, l'assistenza bambini/cura, l'introduzione di modalità di lavoro flessibili, ecc.);
  • impegnarsi e facilitare un dialogo strutturato con gli Stati membri, le parti sociali e altri attori del mercato del lavoro, come ad esempio la rete dei servizi pubblici per l'impiego, per identificare, scambiare e promuovere buone pratiche a sostegno della partecipazione delle donne al mercato del lavoro, attraverso un'efficace equilibrio vita-lavoro. Porre attenzione alle best practices che permettono a uomini e padri di raggiungere l'equilibrio tra lavoro e vita e ad avvalersi di più congedi e di accordi flessibili;
  • impegnarsi in una campagna mirata di sensibilizzazione, al fine di favorire la comprensione dei benefici delle politiche di conciliazione della vita familiare e professionale, il supporto e la promozione di reti di datori di lavoro che promuovono forme di conciliazione.

L'opzione 3 prevede un mix delle prime due opzioni. Lo scenario di base è costituito dal quadro giuridico attuale (principalmente la Direttiva Maternità del 1992 e quella del 2010 sul congedo parentale) in combinazione con la strategia Europa 2020. Sono monitorati i servizi per l'infanzia, in linea con gli obiettivi di Barcellona, ma solo nel loro assetto generale, senza considerare se siano part o full time e se consentano effettivamente ai genitori di lavorare.

Piccola digressione, ma non tanto, per comprendere come i servizi vengono utilizzati e di come si accede ad alcune agevolazioni. Senza mettere in discussione la gratuità di un servizio per chi non ha reddito, che è una cosa sacrosanta, preferirei che al di là dell'ISEE si approfondisse la reale situazione finanziaria di certe famiglie. Preferirei degli scaglioni di reddito più realistici per ottenere sgravi sui costi di asili e scuole. Se non metti in piedi regole e controlli seri, le poche risorse a disposizione rischiano di andare disperse, da Milano a Bari. Questo vale per tutti i servizi pubblici, ciascuno deve contribuire proporzionalmente alle proprie disponibilità, altrimenti continuando a fare i furbetti il sistema collassa.

L'UE in definitiva consiglia soluzioni “mix”. Ma in pratica la roadmap appare debole, indebolita da quella sussidiarietà di cui parlavo in precedenza e che ha portato al fallimento della direttiva a giugno. Ci si scontra sempre con i veti interni e le difficoltà interne di ogni singolo Paese a varare soluzioni che vadano in una direzione unitaria.

Poi nel testo vengono illustrati gli strumenti di monitoraggio del fenomeno a livello europeo, ma come ho già annotato in precedenza, i dati e i report devono servire da stimolo per cambiare i contesti a cui si riferiscono, devono essere adoperati da base per politiche che vadano concretamente a incidere positivamente sul tessuto di riferimento. Altrimenti restano inutili esercizi statistici, se poi nemmeno i diretti interessati (in Parlamento e nei vari ministeri) se ne fanno carico, li studiano e li adoperano per strutturare le loro riforme e proposte legislative.

A giugno per esempio era stato presentato l'’indice EIGE sull’uguaglianza di genere 2015, che avevo analizzato qui
Mi chiedo se nelle istituzioni italiane ci sia qualcuno che se ne interessi. Non abbiamo un dicastero dedicato alle pari opportunità, tanto che quando viene eletto un CdA Rai in palese disapplicazione della Legge Golfo-Mosca, nessuno a livello istituzionale proferisce parola o prende provvedimenti. Tutto silente. Il vuoto si sente e diventa sempre più insostenibile e inaccettabile ogni giorno che passa.

Non abbiamo più ritenuto necessario e urgente avere un ministero dedicato alle pari opportunità e questo a dice lunga. Nonostante le varie pressioni e richieste nulla ancora si muove. Non ci basta qualcuno che ci sciorini dati, ci vuole competenza, attenzione e conoscenza delle problematiche delle donne, a livello nazionale e locale, qualcuno che sia una interfaccia credibile in sede europea, che sappia dialogare con le parti sociali. Saremo sempre indietro se non riusciremo a invertire la rotta. Non ci bastavano ieri e non ci bastano oggi le rassicurazioni che si prenderanno cura delle questioni delle donne.

Che da bravi uomini ci porteranno su un palmo di mano verso la piena uguaglianza.
Non siamo inadeguate, come qualcuno paternalisticamente vorrebbe indurci a pensare, e non abbiamo bisogno di essere educate e indottrinate. I nostri temi resteranno marginali se non riusciremo ad avere delle rappresentanti degne e combattive.

Non sediamoci ai tavoli per raccontare quanto siamo state brave a giungere a ruoli di rilievo, ma lavoriamo affinché altre, tantissime donne possano partecipare e far sentire la propria voce. Facciamo valere il nostro saper fare e pensare differente.

Noi stesse dobbiamo renderci attive e cercare di cambiare le cose.
Siamo considerate una forma di welfare gratuito, che viene dato per certo. Iniziamo a praticare una condivisione dei compiti di sostegno familiare e chiediamo che venga riconosciuto questo lavoro invisibile. Coltiviamo quel cambiamento culturale necessario. Non accontentiamoci di rassicurazioni da parte di nessuno. Non accontentiamoci di nomine svuotate di senso.

Vigiliamo sia a livello nazionale che europeo, informiamoci e torniamo a fare rete tra donne.
Torniamo all'onda di donne attive, recuperando la voglia di fare le cose insieme, di informare e di informarci, di pungolare chi dorme e chi ha messo le questioni delle donne all'ultima pagina dell'agenda politica.
Svegliamoci dal torpore e cooperiamo tutte insieme! Facciamoci sentire!

 



Articolo di Simona Sforza

 

Ritratto di Simona Sforza

Posted by Simona Sforza

Blogger, femminista e attivista politica. Pugliese trapiantata al nord. Felicemente mamma e moglie. Laureata in scienze politiche, con tesi in filosofia politica. La scrittura e le parole sono sempre state la sua passione: si occupa principalmente di questioni di genere, con particolare attenzione alle tematiche del lavoro, della salute e dei diritti.