L’ADHD viene definito come un disturbo neuropsichiatrico del bambino e dell’adolescente, recentemente anche dell’adulto, caratterizzato da deficit dell’attenzione, impulsività e iperattività.

Secondo studi recenti il disturbo interessa l’1,2% dei bambini italiani, circa 80.000 di giovani tra i 6 e i 18 anni.

Il dibattito circa la definizione dell’ADHD, nonché la sua possibilità di essere identificata come una malattia con le conseguenti terapie psico-comportamentali    e farmacologiche è a tutt’oggi oggetto di forte discussione tra gli stessi specialisti del settore.

E’ importante che tale  dibattito possa  essere comunicato in maniera semplice e diretta, in modo da arrivare non solo ai medici specialisti ma a tutte le persone coinvolte, dai genitori agli insegnanti, dagli operatori sociali ai pedagogisti, fino ai medici generici ed ai media, per  accrescere la consapevolezza nelle persone rispetto a tale tema, in modo da non farsi influenzare negativamente per mancanza di conoscenza.

Diverse famiglie e diversi insegnanti che hanno vissuto o stanno vivendo situazioni con bambini diagnosticati con ADHD, non hanno ancora sufficienti informazioni su questo Disturbo, che raccoglie sempre più casi con un crescente numero di Diagnosi che per almeno il 15%  vengono curati con psicofarmaci.

Quale la mia posizione rispetto alla diagnosi di ADHD? Si può parlare di patologia, e se sì, in quali casi?

Se la Diagnosi di ADHD è fatta bene, cioè fatta da medici specialisti, che seguono i criteri del Manuale Internazionale per i Disturbi dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Masson 2002-2015, che lo descrivono in tre sottotipi:

  1. Combinato
  2. con Disattenzione predominante
  3. con Ipertattività predominante;

 

e secondo diversi parametri che vanno rispettati, come:

1) con esordio nella fanciullezza o esordio nell’adolescenza;

2) con intensità lieve, moderata, grave;

3) se sei o più dei sintomi di Disattenzione descritti nel manuale, sono presenti per più di sei mesi, con intensità che provoca disadattamento o che contrasta con il livello di sviluppo;

4) se sei o più dei sintomi descritti di iperattività, impulsività sono presenti per più di sei mesi, con intensità che provoca disadattamento o che contrasta con il livello di sviluppo;

5) se la menomazione che deriva dai sintomi è presente in più contesti, casa, scuola, gioco;

6) se c’è una compromissione clinicamente significativa del funzionamento sociale, scolastico, o a casa; se i sintomi non si manifestano durante il decorso di altro Disturbo psichiatrico; se è stata fatta la Diagnosi differenziale dal Disturbo della Condotta, dal Disturbo oppositivo provocatorio, dal Disturbo del Comportamento dirompente e da altri Disturbi psichiatrici.

Solo in questi termini si può concordare con la Diagnosi di ADHD, che esiste, ma in percentuale assolutamente, minima.
L’eccesso di Diagnosi fatte da persone non competenti in materia, quali, genitori, insegnanti, psicologi, assistenti sociali, ha portato a molteplici falsi diagnostici e quindi a dare percentuali esagerate su l’aumento dell’ADHD.

Va anche considerato il ruolo che la società attuale, frenetica, eccessivamente competitiva, tendente ad analizzare superficialmente qualsiasi problema, gioca nell’aumento della diagnosi di ADHD.

La frettolosità e la superficialità di molte persone, oggi, spinge a risolvere ogni piccolo problema con il minimo dispendio di attenzione e impegno; così appena un bimbo è nervoso o agitato per un problema autentico, si preferisce etichettarlo subito come ADHD per curarlo  immediatamente con poca fatica, cioè propinandogli qualche psicofarmaco per farlo “stare subito buono”; invece di ascoltarlo e decodificare il sintomo, capendo il problema che sta sotto il sintomo.

Nel mio libro “Giù le mani da Pierino”, sottolineo l’importanza di percepire l’uomo come parte di un Tutto, e non come corpo separato dal resto, anche se purtroppo la visione della malattia mentale a tutt’oggi è ancora quella di una rottura di una macchina funzionante.

Questo tipo di percezione esiste anche nel caso del bambino disturbato e diagnosticato con ADHD.

C’è una tendenza a cercare le cause del disturbo soprattutto nel corpo o nella mente del bambino, dimenticandosi talvolta del fatto che anche lui fa parte di un insieme più grande, all’interno del quale molti fattori (familiari, scolastici, sociali, ambientali, ecc.) influiscono sui suoi comportamenti.

Il corpo umano fatto di cellule e atomi, solido e circoscritto, oggi non è più visto secondo il vecchio modello cartesiano come un tutto composto da parti sempre analizzabili e scomponibili, che agiscono separatamente ed indipendentemente (causalità lineare), ma secondo la Teoria dei Sistemi  Aperti di Bertalanffy (1945) come un tutto fatto di organi e funzioni (causalità circolare), continuamente e flessibilmente interagente e comunicante; cioè costituito da processi psicofisici interrelati orientati verso un comportamento che mira ad uno scopo ed agisce come parte di una rete collettiva di eventi interconnessi.

Nel nostro caso il bambino è immerso nella rete delle relazioni familiari, che lo condizionano e lo plasmano anche a sua insaputa, così come è immerso nell’ambiente naturale, nell’ambiente scolastico e di gioco che gli sta attorno, di cui subisce l’influenza, anche se in minor misura di quello della famiglia.

Inoltre bisogna comprendere l’importanza di mettere al centro, in primo piano il bambino, di ascoltarlo e cercare di capirlo, per comprendere quali siano i suoi veri bisogni e desideri, e non quelli dei genitori o degli insegnanti.

Tuttavia abbastanza spesso la diagnosi di ADHD avviene, almeno in parte, utilizzando questionari non autorizzati e somministrati da insegnanti e genitori, non rispettando l’approccio corretto al bambino ed al suo disturbo.

Come dicevo in precedenza, ci sono in giro molte falsi diagnostici, e  molti genitori ed insegnanti che hanno disimparato o mai imparato a fare il loro mestiere, per cui rispettano l’altro (nel nostro caso il bambino), solo se sta “buono e non da loro fastidio”; cioè spesso lo considerano solo in funzione dei loro bisogni e non come essere umano in crescita che ha necessità di svilupparsi in modo sano secondo i quattro parametri accreditati dalla scienza:

  • alimentazione sana,
  • ambiente naturale salubre,
  • affettività pronta e disponibile,
  • stimoli cognitivi adeguati all’età.

A tal proposito segnalo il mio libro: “Cari insegnanti, cari genitori, salviamo i nostri figli”. Armando Editore, Roma 2011, dove dico che bisogna educare gli educatori sui diversi aspetti dell’educare, sul ruolo della famiglia e della Scuola e sui valori umani, indicando un percorso di allenamento.

Nel libro poi “Giù le mani da Pierino” io e l’amica Daniela Muggia, parliamo di diverse tecniche  di psicoterapia, tra cui il  metodo di accompagnamento empatico dei bambini affetti da ADHD secondo la nostra esperienza e le testimonianze riportate nel libro, in cui  si può in diversi casi considerare questa tecnica un’alternativa efficace alla somministrazione di psicofarmaci.

Non sono comunque molti gli esperti in campo scientifico ed educativo in fatto di ADHD che utilizzano l’accompagnamento empatico; sembra che  lo studio e l’introduzione di questo nuovo metodo, tra gli psichiatri sostenitori della cura farmacologica non abbia avuto grande riscontro.

Purtroppo le Tecniche di Psicoterapia, sia occidentali che orientali comportano tempo ed allenamento, ed anche se la Psicoterapia sarebbe obbligatoria nei Servizi pubblici almeno come primo tentativo, in realtà quasi mai viene eseguita, con motivazioni di tipo non c’è tempo, non c’è personale, abbiamo fatta qualche seduta ma non ha funzionato, eccetera.

Eppure le Psicoterapie brevi, il Training Autogeno, l’Immaginazione Pilotata, descritte nel libro hanno funzionato e funzionano, se solo ci si impegna e ci si spende un po’ più di tempo; così come l’accompagnamento empatico, che ancora oggi pochi conoscono e sanno praticare.

 In Italia la prescrizione dello psicofarmaco può essere effettuata solo dal neuropsichiatra infantile, per poi essere approvata attraverso una serie di controlli e regolamentata dal Registro Nazionale ADHD: tutto ciò dovrebbe permettere di evitare un’eccessiva medicalizzazione dei comportamenti dei bambini (come già avvenuto in America, dove è il medico di base a prescrivere il farmaco): c’è tuttavia, un rischio effettivo che si arrivi anche in Italia alla “prescrizione facile”, sia per la “fretta di guarire” sia per gli inappropriati tagli alla sanità.

La prescrizione facile purtroppo in realtà c’è già da tempo (come l’eccesiva medicalizzazione e psichiatrizzazione), non tanto per i tagli, ma semplicemente perché fa comodo ai Servizi, agli psichiatri, ai genitori, agli insegnanti, alle multinazionali dei farmaci; una catena difficile da interrompere!!!!

Spesso manca il “tempo”, l’impegno, la riflessione, la voglia di fare bene le cose, la comprensione,  la responsabilità!

Qual è la risposta delle famiglie rispetto alla prescrizione di psicofarmaci?

Ho l’impressione che sia molto forte la tendenza a ricercare la soluzione al problema nel modo più semplice e immediato, ossia quello della cura farmacologica. La maggioranza delle famiglie accoglie quindi questo tipo di trattamento e non solo.

Spesso la maggioranza delle famiglie richiede espressamente lo psicofarmaco, ed anche quello che agisce “presto e bene”; fortunatamente ce ne sono anche molte altre che mi dicono “per favore non me lo riempia di farmaci”, “se proprio serve, gliene dia uno solo, non tre o quattro, comunque il meno possibile”, oppure “preferirei una cura senza psicofarmaci”.

In realtà oggi il mondo scientifico sa molto bene: che la Psicoterapia (individuale, di coppia, di famiglia, di gruppo) con le sue diverse modulazioni e tecniche, influenza il nostro cervello allo stesso modo degli psicofarmaci, ma senza effetti collaterali, ove ovviamente sia correttamente eseguita.

Inoltre, e non è poco, mentre gli effetti degli psicofarmaci sono relativi al tempo in cui vengono somministrati, modificando temporaneamente la trasmissione neuronale, gli effetti della Psicoterapia sono prolungati nel tempo e duraturi, in quanto  non solo si coglie la problematica personale di ogni bambino, indirizzandolo verso strade ed abilità a lui più congeniali, ma contemporaneamente si aprono nel cervello altre vie neuronali, nuovi canali di apprendimento che gli faranno da guida nella vita.

In quei casi, dove davvero dovesse servire un farmaco, deve essere sempre affiancato dalla psicoterapia, per i motivi su esposti, altrimenti la mente del bambino potrebbe rimanere focalizzata sulle tematiche che lo hanno fatto ammalare e che potrebbero favorire le recidive e/o la cronicizzazione del disturbo. 

Prof. Dr. Emilia Costa Emerito di Psichiatria

Sapienza Università di Roma
Medico –  Neuropsichiatra – Psicoterapeuta
Presidente Società Italiana Psicopatologia di Genere
Dirigente Network  SiamoTuttiGiornalisti.it
CTU Tribunale di Roma
Già I Cattedra di Psichiatria e  Direttore UOC Psichiatria e Disturbi della Condotta Alimentare Policlinico Umberto I

Potrai incontrare la Prof. Dr. Emilia Costa alla giornata Genitori in azione che si terrà a Torino il 12 Aprile. Per informazioni leggi qui.

Genitori in azione

 

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