Adottare bimbi "grandi"

Eccomi qui. Ho incontrato mia figlia sei mesi fa, quando aveva 6 anni e 10 mesi.
Una bambina classificata “grande”, anche se sono sempre stata convinta che bambini grandi non esistono, ma che esistono solo bambini. Tutto quello che dirò è ovviamente solo "una" esperienza tra quelle possibili e non voglio generalizzarla, anche se molto di quello che racconto è frutto di confronto con altre famiglie adottive di bambini “grandi”.

Siccome finora il maggior numero di fallimenti adottivi è avvenuto proprio nelle adozioni di bambini maggiori di 6 anni, noi famiglie adottive siamo super seguite dai Servizi Sociali e, nel nostro caso anche dall’associazione e abbiamo quindi molte occasioni di confronto.
Noi siamo partiti convinti che l’età non fosse un problema.
Anzi, che forse sarebbe stato un problema se troppo bassa.

Ci hanno tutti (psicologi, assistente sociale, TdM) predicato che, data la nostra età (all’epoca 32 anni mio marito e 34 io) era meglio un bambino piccolo. Ma noi niente, duri, convinti nel dire che non era un problema, che eravamo disposti a tutto.
Abbiamo ottenuto un decreto senza alcuna limitazione di età e abbiamo trovato un Ente con cui condividere questo approccio. Pur giovani, ci hanno abbinato (in tempi record, credo) nostra figlia.

Sapete qual è la cosa più bella? È che da grandi ti aspettano.
Lei ci ha raccontato di come ci aspettava guardando le foto nostre e della casa.
Ci ha raccontato come ha vissuto l’incontro con noi, cosa ha pensato quando ci ha visti (stravolti dopo due giorni e una notte di viaggio) per la prima volta.

Noi non abbiamo niente del suo passato. Non sappiamo neanche quando è nata. È stata lei a raccontarci dei genitori “gli altri” (come li chiama lei), ci ha raccontato lei le circostanze del suo abbandono, il dolore di aver capito di essere rimasta sola.
Quando leggo sul forum tante domande sul cosa dire, come e quando, rispetto al passato, penso che il mio unico problema è ascoltare quello che lei ha da dirmi sul suo primo pezzetto di storia e aiutarla a capire che non c’è niente di spezzato, ma solo una vita che finalmente ha ciò che le spetta.
Però non nascondo che i problemi ci sono e bisogna essere preparati a gestirli. In realtà noi abbiamo vissuto e stiamo vivendo quelli “da manuale”, cioè quelli previsti e prevedibili per l’età.

Il primo è l’atteggiamento controllante.
Lei vuole sapere sempre dove siamo, cosa facciamo, decidere se dobbiamo andare a dormire quando ci va lei o se possiamo vedere la tv. Questo perché deve psicologicamente illudersi che è lei a decidere sul nostro operato, quindi se lei decide che noi non la abbandoniamo è sicura di questo. In termini pratici, il tutto si risolve con molto stress per noi e grandi spiegazioni sul fatto che qualsiasi cosa facciamo, comunque non ce ne andremo mai.

Il secondo è l’atteggiamento oppositivo.
Fare sempre e comunque (oppure provarci) il contrario di quello che le chiediamo di fare, anche se le chiediamo cose a lei gradite. Anche questo per illudersi che, in fondo, non ha bisogno di noi, che se ce ne andassimo e non le dicessimo più cosa fare o no, se la caverebbe ugualmente.
Risvolti pratici: grandi discussioni e spiegazioni sul perché di ogni cosa, dal colore dei calzini in avanti. Se le dico: “Va bene, scegli tu”, va in crisi perché non è comunque in grado di fare una scelta autonoma.

Il terzo è il bisogno di contenimento.
Fare cose “vietate” per vedere se le regole valgono sempre. Se il mio no è sempre no, sono una di parola, una di cui potersi fidare anche per tutto il resto. Se cerco di essere elastica, si innesca una “escalation” in cui devo comunque intervenire; quindi, meglio intervenire subito.

Il quarto è il passaggio dalle regole precedenti alle regole nostre.
In India molte cose che sono indice di “buona educazione” sono per noi “cafonerie” e viceversa. Ci vuole molto tempo e pazienza, soprattutto per non passare un messaggio di negatività sul paese o esperienza di origine. Ma questo è il problema minore. Basta un po’ di pazienza.

La lingua per noi non è stata un problema perché lei parlava e parla inglese, oltre alla lingua madre, quindi ha imparato facilmente l’italiano e se non sa come si dice in italiano lo dice in inglese e la capiamo lo stesso.
Invece mi sento di dire che, pur essendo mia figlia “grande”, di lei non ho perso nulla. In sei mesi ho rivissuto con lei tutta la sua prima infanzia: ha fatto finta di nascere da sotto la mia maglietta, si è attaccata al seno, fatta allattare al biberon, cullare in braccio come un neonato, lavare, cambiare, vestire, imboccare, svegliata di notte, venuta nel lettone, giocato con i giochi da neonato.
Ogni cosa per una paio di giorni, massimo tre.

Mi ha regalato il suo passato, e adesso la sento mia da sempre. Una sera mi ha detto “Mamma, tu piangi (anche se non era vero) perché nella tua pancia non c’è baby. Tu vuoi me nella tua pancia”.
Più passa il tempo, più i problemi si attenuano; più cresce la relazione, più il comportamento oppositivo si addolcisce; più si instaura la fiducia, più il bisogno di controllo cala; più si realizza l’attaccamento, più il bisogno di contenimento svanisce.

Certo, con un bambino “grande” bisogna essere in grado di sopportare e di gestire le problematiche di una lunga istituzionalizzazione oppure il confronto con la famiglia di origine. Mia figlia ha vissuto 5 anni in famiglia, con tutta una serie di vicende tutt’altro che positive, poi è stata abbandonata ed ha fatto 2 anni di istituto.

Lei (e quindi noi) non facciamo i conti con un’ipotetica figura materna o paterna ma con un ricordo molto tangibile che provoca parecchia sofferenza in quanto non positivo (e non potrebbe essere altrimenti). Ma non sono necessarie doti “super”.

Io mi sono sentita fare i complimenti per aver accettato una figlia di sette anni oppure mi sono sentita dire: “Peccato, così giovani vi potevano anche dare un bambino più piccolo”. Non mi riconosco in nessuno dei due. Non mi sono mai posta il problema dell’età e continuo a non pormelo. È la figlia giusta per me, così giusta che neanche se nasceva da me mi veniva così.

Io la chiamo il “microbo gigante”. È un microbo perché a dispetto dei suoi sette anni è arrivata da noi alta 1 metro e di peso 16 kg (misure dei 4 anni italiani), un gigante per i passi mentali che sta facendo.
Le difficoltà le viviamo tutte, fino in fondo, a volte arrivando quasi all’esasperazione. Ma vedere il progresso affettivo, la sicurezza che sta acquisendo persino nel tono di voce, gli 8 centimetri di crescita in altezza che ha fatto in 6 mesi sono soddisfazioni grandissime ed impagabili.

Ecco tutto, mi rendo conto che sono stata lunghissima.
Ma è un tema che mi sta molto a cuore, quando penso a quanti genitori aspettano e invecchiano senza realizzare il loro sogno e a quanti bambini “grandi” aspettano e crescono senza realizzare il loro diritto ad essere amati, solo perché la loro età fa paura.
Sempre nella speranza di non offendere la sensibilità di tutti coloro che non se la sentono…

Ritratto di Redazione

Posted by Redazione